di Renato Civello
in Giuseppe Micieli, catalogo della mostra, Galleria d'Arte CEPAC- Prato 1979 

Saper leggere nella scultura, individuarne le matrici genetiche, il peso di creatività e la collocazione gerarchica, riuscire a connotarne l' autonomia evitando le analogie gratuite o comunque devianti è senza dubbio assai più complesso di quanto avvenga per qualsiasi altro scultore delle arti figurative. Perciò tanto più confortante  la serenità con cui può essere espresso un giudizio di merito, riguardo all'opera di Giuseppe Micieli, dopo la più scrupolosa verifica delle antecedenze culturali, del temperamento, del rigore linguistico, degli esiti evolutivi  e della profonda coerenza che è alla base di tutta la sua  produzione. Seguo questo artista egregio da più di un trentennio e ho potuto notare che la esemplarità della ricchezza nativa è stata potenziata, fuori delle suggestioni accattivanti e delle capricciose mitomanie  del" nuovo corso", nel flusso di una crescita che non ha mai contraddetto i primi generosi umori, né, tanto meno lo spontaneo filtraggio operato per via dell'istinto e delle sempre più ampie conoscenze. 

Sarebbe improprio, dunque, fare dei nomi per costituirne parametri storico-stilistici, anche se qualificanti: :altrettanto lontano, nella concreta visualità di una misura che gli appartiene tutta intera, dai Kolbe o dai Martini. dai Rodin o dai Brancusi, e niente affatto impoverito da una certa sintonia classicheggiante con l'opera di un Greco (come negare, a qualsiasi livello, i cicli perenni delle congenialità elettive?), Micieli è rimasto fedele al proprio ideale di figurazione poetica, non disgiunto da una severa concezione della forma. Pochi artisti, oggi. sanno essere, come lui, cosi compiutamente se stessi; e persino. la "insularità" dannosa per moltissimi altri, è stata per lui un suggello stimolante, disponendosi alle sole aperture di moralità e di forza senza venir meno alla limpida scontrosa bellezza della sua tipologia millenaria. 

Robuste come il carrubo e le rocce dell’Ibla, ma insieme  come sospese al filo di una misteriosa musicale elegia - ecco l'anima della Sicilia, tra le sciare e i giardini profumati di zagare, nelle solitudini impietose e nel respiro dialogante delle sere mediterranee, il fiele delle amarezze predestinate e l' idillio che risorge, ad ogni fiato di brezza, a correggerne il senso, così cariche di intimazioni, così raccolte e tuttavia così libere e corali, le statue di Giuseppe Micieli ubbidiscono, da sempre ad una categoria interna che è la loro più alta legittimazione. Verità vibrante, fatta di consensi emotivi, ma anche, parallelamente, di chiarezza formale come bisogno di incardinare gli stupori del sentimento e le fughe della immaginazione al preliminare impegno della professionalità. Ed è opportuno ribadire che questa non uccide il sottile gioco onirico - o l'ipotesi esistenziale, piena di implicazioni drammatiche, non fa differenza - che si accompagna al "farsi" dell'ispirazione, ed anzi lo esalta rendendone non effimere le strutture avvertibili. 

L'opera di Micieli lo dichiara senza riserve, in un arco che non conosce cedimenti: da un Pastore del '58, definito in una sorta di sacrale geometrismo, allo splendido Pastore del '78 in legno di carrubo, massiccio ed implacabile nell'accusa del suo épos domestico, i conti tornano perfettamente. E così il concetto plastico rifluisce nell'avvertimento interiore, si tratti di una figura giovanile, ancora accademizzante ma già in linea con tutte le garanzie qualificative, o della recentissima scultura Dopo il tuffo, in legno di noce, in cui l'idea dinamica è modulata su un accordo di estrema dolcezza; e la costante dell'impulso non viziato dal calcolo, ma nobilitato da una spontanea decantazione culturale, si può riscontrare tanto nelle numerose Maternità, eludenti nella compenetrazione volumetrica la scansione descrittiva dei corpi, quanto nel cipresso Giovane che si spoglia, in cui il rapporto spazio-immagine raggiunge livelli ottimali di sintesi e la vena classica riemerge vitalizzata di modernissimi umori, disavvertono con eguale energia la tentazione dell'edonismo espressionista e del formalismo. Che devo aggiungere? Credo molto in Giuseppe Micieli. Ci ho sempre creduto. Lavora con impegno, con quella caparbia ricerca di verità che distingue I'artista di razza dalla marea degli approssimativi e dei rimasticatori teorizzati. La scultura ce l'ha nel sangue, è il suo dramma e la sua fede. Ma appunto per questo il magistero ha potenziato tutti gli urti della passione e assume il carattere di alta testimonianza. (in Giuseppe Micieli, catalogo della mostra, Galleria d'Arte CEPAC- Prato 1979) 

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