L'ombra di Micieli
di Nunzio Di Giacomo
Sono incerto tra un portoncino e l'ampio portone di una rimessa. Mi decido per questo. Guardo attraverso un vetro appannato: eccolo, è lui. Mi volta le spalle e sta curvo su una statuetta che sembra bisbigliargli qualcosa all'orecchio. Ora che le si è seduto di fronte, posso guardare il suo profilo: il volto è acceso e piuttosto stanco. A parte qualche increspatura sulla fronte e agli angoli della bocca, i lineamenti sono ancora quelli di una volta; e così anche i baffetti. La statuetta, posata sopra un piedistallo di legno, è di argilla grigia: una fanciulla nuda, sognante e sensuale, che si gode il sole piegata sul ginocchio sinistro, le braccia allacciate attorno alla gamba destra. Forse per mimesi, anche lui ha preso un'aria "sognante e sensuale". Qualche colpetto al vetro. Viene ad aprirmi, le gambe leggermente divaricate, il corpo piegato sul busto per via della lombaggine cronica. Disordine nella rimessa-laboratorio: statue e statuine patinate di polvere e vecchiume; blocchi di pietra, calchi di gesso, tronchi di legno, piedistalli, palchetti; su una parete, un vecchio armadio ed un pannello con una batteria di bulini per l'incisione del legno. In un angolo, un vano con una scala di crudo cemento che porta in un ambiente sottostante.
- Vieni, - mi dice Micieli - quello che voglio mostrarti è al piano di sopra. Vede che guardo la scala che porta al piano di sotto. - C'è poco da vedere là sotto, un deposito di cose vecchie. - Vorrei darci un'occhiata. Aveva ragione, "un deposito di cose vecchie": roba affastellata agli angoli, sulle pareti, su scaffali sgangherati e polverosi. Dalle macerie sbucano teste, busti di ogni colore e dimensione, come se volessero emergere dal caos e tornare a vivere sotto il cielo. Volti e figure che sorpresi dalla luce della lampadina si affrettano a proporre un antico dialogo prima di tornare prigionieri del buio e del silenzio: due ragazzine di terracotta sedute su una panchina attendono qualcosa con aria preoccupata; un suonatore di cornamusa accosciato sulle gambe, a furia di soffiare finisce per diventare l’otre stesso del suo strumento; un cavaliere medievale e la sua cavalcatura sprizzano dalle loro armature la forza tagliente del cemento armato e della pietra lavica di cui sono fatti. Come se deponessi un fiore su una tomba dimenticata, passo la mano sui volti fuligginosi delle due derelitte. Vorrei guardare ancora, ma stento a farmi strada. II mio piede urta contro qualcosa di duro: addossato alla parete, un blocco di pietra comisana rosa dal tempo, dal sudiciume e dalla polvere. Mi chino a guardare: un abbozzo di pietra? ... Si, è così: un'afflitta Madonna si porta rovesciato addosso un lungo ed ossuto Cristo, totalmente sprofondato nell'inerzia della sua morte. Prigionieri per sempre del loro grembo di pietra. - Perché? - domando al mio amico, indicandogli il lavoro incompiuto. - Roba di quarant'anni fa, - mi risponde - ero appena un ragazzo; non ce l'ho fatta ... o forse mi piaceva così: sul punto di nascere, in bilico tra il buio e la luce, tra l'essere e il non essere. Gli occhi mi prudono, forse per la poca luce o forse per la polvere che solleviamo. - Andiamo via di qua, - mi dice Micieli, prendendomi per un braccio - andiamo su nello studio.